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Breve storia del Delta del Po

Il Delta del Po è il territorio più giovane d’Italia formatosi quattro secoli fa, il 16 settembre 1604 con il “Taglio di Porto Viro” per opera dei Veneziani al fine di deviare il fiume ed evitare l’interramento della laguna di Venezia con i detriti da esso portati.

Terra ricchissima di tracce antiche: palafitte paleovenete, navi romane, dune fossili che testimoniano di ondate e burrasche che le formarono.

È soprattutto una magnifica oasi naturale, le lagune infatti sono popolate da migliaia di uccelli di specie diverse e da rare piante acquatiche.

Partendo dalla foce del Po di Levante e giungendo alle Valli di Comacchio, si vede quanto sia stato grandioso il lavoro di modellamento del territorio da parte del fiume.

Il Delta viene suddiviso in “attivo” e “fossile”.

Il Delta “attivo” è la parte settentrionale percorsa dal Po Grande (o Po di Venezia) e dai suoi rami: Po di Goro, Po di Levante, Po di Gnocca (o Po della Donzella), Po di Maistra, Po della Pila, Po delle Tolle e una miriade di canali, canaletti per l’irrigazione e canali di scolo delle campagne; “valli” e “sacche”.

Il Delta “fossile” è la parte a sud del Po di Volano dove, in epoca medioevale, era attivo il fiume.

Il suo passaggio è evidenziato da vaste zone umide di rara bellezza: la Valle Bertuzzi, le Valli di Comacchio e altre minori.

La popolazione locale ha un rapporto di “amore” e “paura” verso il grande fiume: “amore” per i terreni resi fertili dal limo depositato da secolari alluvioni e per la pesca – in particolare dell’anguilla – che è stata sempre fonte di reddito sicuro.

“Paura” per il livello di emergenza dell’acqua che può causare disastrose alluvioni come quella del Polesine nel 1951 e per le successive tracimazioni più o meno gravi.

Tradizionale è lo sfruttamento delle “valli di pesca” (da vallum = depressione): specchi d’acqua salmastra a carattere palustre. Celebri le Valli di Comacchio, per la pesca delle anguille ora estesa anche ai cefali, spigole e orate.

Un antico precetto veneziano riporta: “Coltivare acqua dove c’è acqua, terra dove c’è terra”.

Nuove fonti di reddito sono il turismo naturalistico e la pesca nelle “sacche”, insenature marine a fondale basso delimitate da bracci di fiume ove da qualche decennio è sorta una fiorente mitilicoltura.

Tornando al passato, la pesca legale e di frodo, era necessaria per sfamarsi. La stazione di pesca nella “valle” era costituita da: un “casone”, capanna dove risiedevano i vallanti; uno o più “lavorieri”, strutture allungate a forma di freccia costituiti da palificazioni di castagno e “grisole” di canna palustre posti in acqua all’uscita della valle che permettevano la cattura del pesce in migrazione verso il mare; una “tabarra”, magazzino per il deposito degli attrezzi.

Il Delta è una zona pianeggiante, sotto il livello del mare; le uniche alture evidenti sono gli argini del fiume, più alti di una casa a due piani e gli innumerevoli pioppeti dentro e fuori le golene.

A protezione di questo territorio, l’uomo ha costruito argini marini e impianti idrovori che sollevano l’acqua dai canali di scolo delle campagne per riversarla a fiume e a mare.

In tempi lontani convivevano paleoveneti, etruschi, greci e romani. Il mare arrivava ad Adria che diede il nome al Mare Adriatico.

Nel VI secolo a. C. l’arrivo dei navigatori greci diede grande impulso alla città che divenne il più importante scalo commerciale dell’Adriatico. Questa importanza finì a causa di alcune rotte del Po e dell’Adige che interrarono gran parte del territorio. Attualmente il mare si trova molti chilometri a valle.

Ora il fiume è imbrigliato da alti argini e non è più libero, come in passato, di cambiare percorso ad ogni alluvione. Gran parte delle paludi, acquitrini e valli, sono state bonificate per dare terreni da coltivare alla popolazione. Del Delta originario è rimasto ben poco e quel poco bisogna preservarlo...

Andrea Padovan

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